I Progetti
La Battaglia delle Egadi

È l’alba del 10 marzo 241 a.C., un forte vento di libeccio agita le onde del mare che si estende tra le isole Egadi, Favignana, Levanzo e Marettimo. Per la Sicilia si prepara un epocale cambiamento politico; ben presto e per sempre (tranne l’intermezzo islamico altomedievale), dove campeggia già austera la fisionomia di Roma, diventerà terra “d’Occidente”.

I Cartaginesi di Amilcare erano assediati sulle balze nord-orientali del Monte Erice che sovrasta la città di Trapani (l’antica Drepanum). I Romani ne tenevano saldamente le pendici occidentali e la vetta, lasciando in mano nemica soltanto un corridoio che dava accesso al mare nei pressi dell’odierna Baia di Bonagia. La situazione si aggrava con l’arrivo della flotta romana che occupa le acque antistanti Drepanum e le rade di Lilibeo. L’intera costa occidentale dell’isola resta quindi tagliata fuori da ogni collegamento con Cartagine; Lilibeo, fondamentale snodo marittimo e terrestre della Sicilia punica, rimane senza sbocchi a causa del blocco romano.

I Cartaginesi tentano di tutto pur di soccorrere il rifugiato chiuso sul monte. A tal fine approntano una forza navale al comando dell’Ammiraglio Annone che, partita da Cartagine, raggiunge Marettimo (Hierà), dove attese vento e mare favorevoli per l’ultima spinta verso la Sicilia per soccorrere i propri connazionali.

Il console romano Lutazio Catulo intuisce la rotta delle navi puniche che, da Hierà, evitando naturalmente la costa pattugliata tra Drepanum e Lilibeo, avrebbero puntato su Erice, ampliando il raggio di navigazione verso l’accesso nord-orientale dell’attuale Torre di Bonagia. Occorreva tagliarne la rotta, volgendo a favore dei Romani quel forte libeccio che, pur propizio alle vele nemiche, in caso di un attacco a sorpresa non le avrebbe comunque alleggerite del pesante carico di vettovaglie che portavano.

Lo scontro avvenne a Nord di Levanzo in un’area in cui le ricerche archeologiche, effettuate in collaborazione con la statunitense RPM Nautical Foundation, hanno portato in tutta evidenza le prove che ormai fugano ogni dubbio sul reale svolgimento della battaglia.

Lutazio Catulo si nascose dietro l’alta mole di Capo Grosso a Levanzo e quando vide sopraggiungere il nemico, a vele spiegate diede ordine di tagliare le cime d’ormeggio e salpare in fretta in modo da colpire le navi nemiche al traverso. Ci volle poco a scatenare la confusione e lo sgomento tra i marinai cartaginesi. In preda al panico parte della flotta rientrò verso Cartagine, parte fu distrutta o catturata da Lutazio Catulo.

Negli ultimi decenni, in quello che fu il luogo di ancoraggio della flotta romana sono stati recuperati numerosi ceppi d’ancora, dove invece avvenne lo scontro, ovvero nello spazio di mare a nord-ovest di Levanzo, sono stati numerosi rinvenuti rostri, numerosi elmi e centinaia di anfore ovvero quei materiali andati a fondo prima della battaglia. Tutto ciò è stato possibile grazie a una sistematica quanto rodata attività di ricerca affiancata dalla più sofisticata tecnologia elettroacustica utilizzata fino ad oggi e da una competente equipe di archeologi e tecnici italiani e statunitensi.